venerdì 26 aprile 2024

Sull'antica e inedita chiesa rurale di Santa Lucia a Pietraperzia e sulle ipotesi di collocazione delle chiese di San Teodoro e della Madonna del Monserrato

 

Fig. 1
La chiesa rurale di Santa Lucia vista da sud.


    Della chiesa rurale di Santa Lucia (vd. fig. 1. Coordinate geografiche: 37°24'35.9"N 14°09'31.1"E), che in questo articolo facciamo emergere per la prima volta dopo secoli, si hanno notizie nella pubblicazione di Fra Dionigi da Pietraperzia e in un libricino di appunti pubblicato da Lino Guarnaccia [1]. Il primo scrisse nel Settecento e citò la chiesa tra quelle ancora aperte al pubblico. Il secondo scrisse nel 1978 e, per localizzare la chiesa rurale, fece riferimento e fede a delle persone, che lo accompagnarono a visitarla. Padre Dionigi scrisse che: <<Men distante di 500 passi da levante, e scirocco in altra rilevata collina (non, dunque, sulla collina accanto n.d.r.) si vede l'antichissima chiesa di Santa Lucia Siracusana, della quale abbiamo notizia sin dall'anno 1582>>. La collina di cui lo storico aveva precedentemente parlato era quella chiamata di Tabita e si trovava <<dirimpetto al paese del meriggio>>; tale collina ospitava la chiesa di Maria SS. di Monserrato, detta volgarmente delle Serre. Nella mappa seicentesca di Von Schmettau, ai fini della localizzazione, troviamo una torre detta "di Tabita" (vd. fig. 2).
   Dopo aver provato a dare una collocazione alla chiesa della Madonna delle Serre, torniamo a cercare la chiesa di Santa Lucia. Un altro indizio lo offrì Padre Dionigi il quale, nel descrivere il luogo dove si trovava la chiesa della Madonna del Lume, affermò che <<Finalmente lontana dal paese poco men che di altrettanti passi dall'Oriente, abbiamo in un luogo detto dell'Oliva, la chiesa di Maria SS. sotto il tit. dello Lume>> [2]. Per "poco men che di altrettanti passi" si intende poco meno di altri cinquecento passi; altri rispetto a quelli già citati che servivano a misurare la distanza dal paese alla chiesa di Santa Lucia. A questo punto, dobbiamo considerare che per lo storico pietrino la chiesa della Madonna del Lume è a mille passi da Pietraperzia; anche tramutandoli in passi romani, sarebbe all'incirca a un chilometro e mezzo: pochi rispetto a quelli reali. Fra Dionigi non era, di fatto, un geometra e scriveva piuttosto per dimostrare la devozione del popolo e non per chissà  quale teorema geometrico. Ad ogni buon conto, la chiesetta che descrive Lino Guarnaccia (coordinate geografiche: 37°24'48.3"N 14°08'52.3"E), volendo fare una proporzione e volendo seguire le misure dello storico, è troppo vicina a Pietraperzia rispetto alla Madonna del Lume. La chiesa di Santa Lucia doveva essere un po' più in là. Ma quale chiesa rurale ha descritto Lino Guarnaccia, pensando che si trattasse di Santa Lucia? L'equivoco molto probabilmente si ebbe in quanto la contrada era, ed è, in modo generico denominata "Santa Lucia".  Vi sono, del resto, pochi dubbi nell'intuire che lo storico Guarnaccia vide una chiesetta normanna, data la pianta quadrata, dati gli archi a sesto acuto e dati gli affreschi fotografati, tra cui campeggia sopra figure ieratiche di santi un Cristo Pantocratore, che osserveremo meglio più avanti. Quante chiese normanne c'erano a Pietraperzia? Secondo Fra Dionigi due: San Giorgio e San Teodoro. La prima si trovava nelle "Zotte di "Giurgi"; la seconda si trovava in contrada Rancitito nella località che si chiamava "San Teodoro" all'epoca di Dionigi [3]. Con il dubbio che la chiesa di San Teodoro fosse quella descritta da Lino Guarnaccia che, d'altronde, si trova a monte del Vallone dell'Oro (Di l'oru in dialetto potrebbe essere la forma storpiata di Tidoru) e non distante da quella che oggi i pietrini chiamano contrada Rancitito (che in passato avrebbe potuto avere un'estensione maggiore). Non è, per di più, improbabile che la parte di contrada Rancitito che ricevette il nome di San Teodoro non fu più recepita come appartenente a Rancitito. Ma ritorniamo al brano di affresco dove campeggia quello che Guarnaccia definì "Cristo pantocratore". Un'osservazione più attenta ci porta invece ad affermare che si tratta piuttosto della figura di un santo (si notino i capelli corti e non lunghi e tipici del Cristo): San Teodoro Trichinas? Non possiamo avere certezze, ma possiamo osservare delle tracce di figure di demoni ai lati del santo: pareidolia? Non sappiamo, ma ricordiamo che San Teodoro Trichinas era un eremita che scacciava i demoni ed era raffigurato assieme ad essi (vd. figg. 3a, 3b e 3c). Ciò che, comunque, rimane della chiesa di Santa Lucia (o San Teodoro?) descritta da Guarnaccia è stato inglobato tra le mura di una masseria ottocentesca, si trova in una terra dove vi è spargimento di frammenti di vasellame (forse bizantini) ed è a pochissima distanza da un caseggiato (coordinate geografiche: 37°24'45.4"N 14°08'51.9"E), che ha tutta l'aria di essere stato un piccolo convento: forse era la batìa di cui parlava Fra Dionigi quando scrisse sulla Madonna delle Serre? [4]. 
    Ma cerchiamo meglio nelle carte geografiche antiche a nostra attuale disposizione. Nella mappa di Von Schmettau, si nota che tra la torre di Tabita (collina dove effettivamente ci sono i resti di una torre antica, coordinate geografiche 37°24'43.2"N 14°08'12.9"E, e dove probabilmente c'era la chiesa della Madonna del Monserrato) e la chiesa di Santa Lucia c'è una certa distanza. Se consultiamo la mappa catastale del 1862-1876 (vd. fig. 4), possiamo osservare con più precisione che sulla collina Tabita è segnato il Telegrafo (e i dati corrispondono, nel senso che la torre è stata utilizzata per far funzionare il telegrafo); sulla collina dove Guarnaccia ha collocato la chiesa di Santa Lucia vi è segnata la dicitura "Mad.nna" ossia Madonna;  su un'altra collina, posta sull'altro lato della strada che porta al santuario della Madonna della Cava, si ha la chiesa di Santa Lucia. Tale strada è stata modificata, come abbiamo direttamente verificato, osservando le permanenti tracce dell'antica trazzera, che prima passava sotto e vicino alla chiesa, ora passa sopra, seguendo la curva di livello. Ritroviamo la stessa strada in un'altra mappa dell'Ottocento (vd. fig. 5) e osserviamo che anche in questa mappa passa sotto la chiesa rurale in questione. Troviamo la chiesa contrassegnata con il numero romano XLI che nella legenda (vd. fig. 6) corrisponde alla dicitura "Contrada Magazzinazzo e Santa Lucia". 
    Ci mettiamo, dunque, alla ricerca della chiesa rurale perduta e, seguendo le tre mappe citate e le indicazioni di Fra Dionigi, giungiamo in una costruzione orientata est ovest, larga circa 8 metri e lunga 20 metri. Accanto all'edificio che, osservato da dietro, ha tutta l'aria di essere stata una chiesa, scorgiamo quella che potrebbe essere stata un'antica acquasantiera, usata come fioriera in quanto danneggiata e irriconoscibile se non agli occhi di un esperto. La parte frontale è stata rimaneggiata in seguito a un crollo. Stessa cosa dicasi per il lato sud e per l'interno, dove si conservava una tela secentesca avente per soggetto un'adorazione dei pastori (vd. fig. 7). La tela si trovava in un altare ricavato da una nicchia al primo piano, nel quale vi sono probabilmente conservate delle reliquie. A livello iconografico, è possibile notare come tale soggetto sia stato trattato in modo particolare: la figura della madonna si stanzia al centro e fa un gesto con la mano come a voler indicare o mostrare il bambino Gesù. Un gesto simile non lo troviamo in altre adorazioni dei pastori, dove le mani di Maria sono giunte o assumono un'altra posa; lo si riscontra piuttosto nelle classiche icone della Madonna di San Luca (cui faceva cenno Fra Dionigi), nelle quali Maria ci concede la visione del proprio figlio, facendoci da tramite per delle grazie. Non è improbabile che la tela sia proprio quella di cui scrisse Fra Dionigi, definendola l'Esperta. La contrada oggi viene erroneamente denominato "Don Cola". La contrada Don Cola nella mappa dell'Ottocento (vd. fig. 4) si trova poco distante e a ovest ed è contrassegnata con il numero XLII e denominata "Contrada de Pirito e di Cola". Il luogo in cui sorge la chiesa rurale in passato era molto frequentato; lo si intuisce per la presenza di un antico abbeveratoio (vd. fig. 8) e di due pilastri con dei bassorilievi che raffigurano due guardiani con cintura a cordone e cappello lungo a calza: uno fa cenno di sguainare la spada, l'altro intima il silenzio con l'indice sulle labbra (vd. figg. 9 e 10). Tali opere forse erano collocate altrove, ma in quanto apotropaiche si potrebbe ipotizzare che servivano per rendere l'area protetta e sacra.
    Rimane, comunque, il fatto che la chiesa, definita da Guarnaccia come di Santa Lucia, nella mappa ottocentesca (che risulta più precisa e più leggibile) sia invece denominata "Madonna". Si trattava forse della Madonna delle Serre? In tale ipotesi, la chiesa del colle Tabita quale denominazione aveva? Oppure: è mai esistita una chiesa sul colle Tabita? O, comunque: la chiesa sul colle Tabita era quella di San Teodoro? In questa direzione di vedute, si può sottolinerare che nella mappa catastale del 1862-1876 (vd. fig. 3) la contrada Rancitito è segnata sulla costa del colle Tabita, anch'esso collocato a monte del Vallone dell'Oro di cui si è scritto sopra. In tutte queste ipotesi, l'unica certezza è che la chiesa rurale di Santa Lucia si trova in quella che oggi erroneamente chiamano contrada Don Cola ed è stata ben segnata nelle mappe, che finora si hanno a disposizione; compresa quella pubblicata da Guarnaccia, nella quale la denominazione "Santa Lucia" è inserita sopra la chiesa da lui visitata e poco sotto l'icona della chiesa che nelle mappe è denominata "Santa Lucia" (vd. fig. 11).
    Va, per di più, ricordato che come afferma Guarnaccia la chiesa fu chiusa al pubblico assieme a quella del Monserrato nel 1854. Dopo quella data, la chiesa passò alle mani della famiglia Grimaldi, che la modificò, adibendola a palmento (si comprende che il vigneto di cui si ha traccia nel documento storico menzionato da Fra Dionigi, non è stato mai tralasciato. Si noti pure che la contrada adiacente è denominata "Vignagrande"). Internamente, ad ogni buon conto, si può leggere una data sulla volta: 1763. Accanto alla chiesa, si possono notare i resti di un probabile cenobio o di locali di servizio.
    Si deve, infine, precisare che il culto di Santa Lucia a Pietraperzia perdura: la statua della martire siracusana è portata ogni anno in processione il 13 dicembre. Ma la chiesa che ospita tale culto è quella dello Spirito Santo. 

Fig. 2
Stralcio della mappa di Von Schmettau (1719-1721)

Fig. 3 a
Brano di affresco della chiesa normanna erroneamente denominata di Santa Lucia. Figura di santo da definire (non si tratta di un Cristo Pantocratore)

Fig. 3 b
Brano di affresco della chiesa normanna erroneamente denominata di Santa Lucia. Particolare di un demone (o pareidolia?) a sx del santo.



Fig. 3 c
Brano di affresco della chiesa normanna erroneamente denominata di Santa Lucia. Particolare di un demone (o pareidolia?) a dx del santo.


Fig. 4
Stralcio della mappa catastale del 1862-1876. Freccia rossa: Santa Lucia; freccia azzurra: Madonna e, poco più sotto, il probabile convento; cerchio verde: il telegrafo di colle Tabita, accanto è segnata un'abitazione: forse la chiesa distrutta negli anni Sessanta; puntini gialli: la curva di livello che ospita l'attuale strada Magazzinazzo Santa Lucia.

Fig. 5
Stralcio della mappa del 1830 del territorio di Pietraperzia, pubblicata in A. Casamento, La Sicilia dell'Ottocento, Palermo, Edizioni Giada, 1986 pagg. 164-165. Cerchio viola: Madonna della Cava; lineetta gialla: Santa Lucia; puntini gialli: strada Magazzinazzo - Santa Lucia; lineetta rosa: San Giovanni; lineetta arancione: contrada de Pirito e di Cola; lineetta azzurra: contrada delli Runzi e Vignagrande. 

Fig. 6
Legenda della mappa del 1830 del territorio di Pietraperzia, pubblicata in A. Casamento, La Sicilia dell'Ottocento, Palermo, Edizioni Giada, 1986 pag. 165.

Fig. 7
Tela secentesca, raffigurante un'adorazione dei pastori, un tempo conservata nella chiesa rurale di Santa Lucia. Potrebbe trattarsi di Maria SS.ma dell'Esperta di cui scrisse Fra Dionigi.

Fig. 8
Abbeveratoio antico a valle della chiesa rural di Santa Lucia

Fig. 9
Guardiano apotropaico, in pietra arenaria, con berretto lungo a calza che sguaina una spada

Fig. 10
Guardiano apotropaico, in pietra arenaria, con berretto lungo a calza che intima il silenzio


Fig. 11
Mappa pubblicata da Lino Guarnaccia. Freccia gialla: la chiesa di Santa Lucia individuata in questo saggio; freccia rossa: la chiesa descritta da Lino Guarnaccia. Cerchio verde: colle Tabita sul quale non si notano scritture o numeri, ma è segnato un edificio, forse una chiesa? Evidenziata con dei puntini gialli: la strada di contrada Magazzinazzo - Santa Lucia che dalla Cava porta all'incrocio sopra contrada Madunnuzza.


Note

[1] P. fra' Dionigi, Relazione critico-storica della prodigiosa invenzione d'una immagine di Maria Santissima chiamata comunemente della cava di Pietrapercia, (Ripr. dell'ed. Palermo nella Stamperia della Divina Provvidenza, 1776. - In testa al front.: Pietraperzia dalle origini al 1776) trascritta da Salvatore di Lavore, presentata da Filippo Marotta, Pietraperzia, Tipolitografia Di Prima, 2004, pp. 128 e 274.
L. Guarnaccia, Appunti storici sull'ex chiesa rurale di S. Lucia in territorio di Pietraperzia (Enna), volumetto stampato in proprio nel luglio 1978.
[2] Sulla chiesa della Madonna del Lume vedasi un altro articolo del presente blog al seguente link: https://antichimonumentipietrini.blogspot.com/2019/11/sulla-chiesa-rurale-della-madonna.html.
[3] Vedasi l'articolo al seguente link, nel quale si va pure alla ricerca della chiesetta di San Teodoro: https://antichimonumentipietrini.blogspot.com/2021/02/alla-ricerca-della-chiesa-normanna-di.html.
[4] Sulla probabile convento della chiesa erroneamente denominata si Santa Lucia vedasi un altro articolo del presente blog al seguente link: https://antichimonumentipietrini.blogspot.com/2019/08/il-cenobio-di-santa-lucia-pietraperzia.html.






Autore:
Filippo Salvaggio



Ringraziamenti

Questo studio è stato possibile grazie all'aiuto di Carmelo e Roberto Bauccio, rispettivamente padre e figlio, e dell'amico Rocco Fonti. Le foto n. 1, 7 e 8 sono di Roberto Bauccio. Le foto 3a, 3b e 3c sono di Rocco Fonti.

domenica 24 aprile 2022

Sul lungo lastricato delle contrade Arcieri e Galati, probabile tratto dell'Itinerarium Antonini

 

  Fig. 1
Traccia di lastricato ricadente nella prima tranche a est della Masseria Arcieri in direzione SP 10


    Diversi studiosi e archeologi si sono a lungo cimentati nell'impresa di rintracciare l'antico Itinerarium Antonini, una raccolta disorganica di percorsi, redatta tra il III e il IV secolo d.C.. Il tratto di viabilità oggetto della presente ricerca è ricompreso nell'asse viario a Catina Agrigentum (da Catania ad Agrigento) e ricade nei territori di Pietraperzia e Barrafranca in provincia di Enna. Durante i diversi sopralluoghi effettuati negli ultimi mesi [1], condotti dopo aver consultato varie fonti bibliografiche e osservato un'ampia porzione di territorio, è stato rinvenuto un lastricato della lunghezza di circa 3 chilometri e 50 metri e della larghezza di circa 3 metri (vd. fig. 1).
    I due principali input per l'individuazione del lastricato sono stati i saggi di Angelo Li Gotti e Marco Sfacteria. Li Gotti aveva asserito che la strada passava a sud delle cosiddette Case Vicario, dove ricadono i resti di una necropoli di età romana e tardoantica [2]. L'archeologo Sfacteria, sulle orme dello studioso barrese, ha individuato una mulattiera che, da 700 metri prima di raggiungere la masseria di Galati Nuovo (S. Gallo in mappa), conduce  verso borgo Gallitano [3]. La regia trazzera, tracciata in fig. 56 dall'archeologo messinese su carta della US Army Map Service del 1943, a partire dall'incrocio con la SP 10 viene colorata in rosso fino alla Masseria dell'Arciero. In quest'ultimo studio, viene specificato altro: né la presenza di frammenti fittili e neanche quella di un basolato. Tuttavia la sottile linea rossa su mappa americana ha destato curiosità ed è divenuta spunto di ricerca.
    A partire dall'incrocio della SP10 con una trazzera, che un cartello stradale indica come direzione verso la contrada Arcieri, si possono osservare le prime tracce di un lastricato (coordinate geografiche 37°20'43.1"N 14°07'36.0"E), evidentemente attraversato dalla provinciale, in quanto presente sia a destra sia a sinistra di essa (vd. figg. 2-3). A valle e lungo il perimetro dell'ampia ansa del torrente Braemi, data la natura argillosa della terra, se ne perdono le tracce. A monte, in direzione della masseria, emergono vistosi tratti di basolato dall'asfalto sgretolatosi e poi sparito del tutto. Più avanti, si può notare un tratto più integro, ma in parte coperto da terra di smottamento (vd. figg. 4-5). Tracce di lastricato, in alcune parti ricoperte dall'asfalto, si possono leggere fino alla fontana posta all'ingresso della masseria. La recente costruzione dell'edificio avrà probabilmente coperto i resti di una rocca romana (arx), come suggerisce la toponomastica. Del resto, la necessità di difendersi è giustificata dalla posizione geografica, soggetta a possibili attacchi di nemici tramite il sottostante fiume Salso. Questa prima tranche di lastricato segue l'orografia del territorio, è dolcemente sinuosa e ha poca pendenza.
    Una seconda tranche di basolato si può, ancora oggi, perfettamente leggere a partire da una delle case coloniche che circondano la masseria Arcieri (coordinate geografiche: 37°20'40.8"N 14°06'50.3"E) fino al Vallone della Carusa (vd. figg. 6-9). A valle della casa colonica, tra le argille del periodo tortoniano, il tracciato riemerge in vari punti. Prima di giungere al Vallone della Carusa il lastricato, presente in modo più o meno intatto, attraversa il crinale di un cozzo (vd. figg. 10-16). Giunta nei pressi del Vallone, la strada confluisce in un incrocio. La prima via, a destra, sale verso i siti archeologici delle varie "Petra" e cioè Petra Ficili, Petra dell'Omo e Petra Perciata (Pietraperzia). La seconda conduce verso il guado presente a valle del cozzo della Zubia e della Puntara San Giuseppe. Il terzo tracciato, strettamente a sinistra, scende verso il guado posto tra il cozzo dell'Arciero e il cozzo della Guardia toponimo, quest'ultimo, che suggerisce la presenza di un altro presidio difensivo sulla riva ovest del fiume (vd. fig. 17). In pratica, a partire dall'incrocio del Vallone della Carusa, si poteva scegliere di guadare il Salso da due punti non tanto distanti tra loro. Entrambe le strade, che dal fiume salgono verso est, si ricongiungono poco più giù di contrada Galesse Vecchio e si versano nella trazzera 637 Barrafranca-Delia, che l'archeologa Paladino ha indicato come tratto dell'Itinerarium [4]. La direzione è Delia, cittadina indicata dalla studiosa come la statio di Petiliana
    Il bianco lastricato di contrada Arcieri si dipana lungo l'asse tracciabile in linea aerea da Sophiana a Delia-Petiliana (vd. figg. 18-19). Le pietre con cui fu costruita la strada, rispetto all'argilla del periodo tortoniano, sono di un materiale esotico di origine calcarea e sono intagliate e disposte ordinatamente: si tratta di calcarenite bianca della serie gessoso-solfifera del periodo del Pliocene superiore. In questa contrada, posta all'estremo sud del territorio pietrino, durante una ricognizione effettuata da Sebastiano Tusa e da Rosario Nicoletti, furono rinvenuti dei frammenti di epoca romana imperiale, come si può evincere da una mappa che indica i siti segnalati nella loro opera [5]. La valle del Salso che ospita questa emergenza viaria, a quanto pare, è costellata di presidi romani. Oltre a quelli ipotizzati del cozzo della Guardia e del cozzo Arcieri, subito a nord di quest'ultimo si erge il cozzo Recinto-Zubia, indagato da Tusa e Nicoletti, che ne hanno osservato materiali e resti appartenenti all'antica età del Bronzo [6]. Leggermente più a valle, la contrada Zubia da noi osservata mostra spargimenti di frammenti fittili romani. Sono, altresì, presenti un pozzo e delle aree rettangolari (vd. fig. 20) di una certa ampiezza perimetrate da mura possenti (coordinate geografiche: 37°21'42.7"N 14°05'54.5"E - 37°21'41.4"N 14°06'08.1"E). Si tratta probabilmente di un castrum romano finora inedito.
    In direzione Sophiana, l'Itinerarium probabilmente costeggiava l'ansa del Braemi per poi passare a valle della Serra Lunga (in dialetto chiamata Manca e Gregni) e dirigersi verso la miniera di zolfo di Galati, costeggiarne la collina e sboccare nella piana del Braemi. Il probabile tracciato si legge osservando le mappe satellitari. Nel seguire l'ipotesi che la miniera di zolfo fosse sfruttata dai romani e che, di conseguenza, l'Itinerarium fosse utile per il trasporto del prezioso minerale, è stato condotto un sopralluogo. La violenza delle acque piovane ha scavato dei rivoli fangosi nella trazzera pocanzi descritta. In uno di questi (coordinate geografiche: 37°19'59.3"N 14°09'39.1"E), sono riemersi i resti di un lastricato simile a quello di contrada Arcieri (vd. fig. 21); se ne può osservare la sezione, nella quale si nota la profondità del cumulo di pietre calcaree, compattate tra loro con della malta mista a frammenti rossicci di coccio pesto. Dopo aver seguito la traccia a monte, in direzione Serra Lunga, è stata trovata una pietra miliare (vd. fig. 22). Quest'ultima, posta a sormontare un incrocio, potrebbe anche essere una merca ossia una pietra di confine tra possedimenti terrieri. Nell'area (coordinate geografiche: 37°20'04.0"N 14°09'31.8"E), ad ogni buon conto, sono sparsi pochi frammenti di ceramica romana sigillata e di tegole, forse medievali. Più a valle, seguendo la trazzera verso Serra Lunga, si trovano pochissime e probabili tracce di lastricato, ma con pietre di arenaria (vd. fig. 23). La zona della miniera era abitata e, di fatto, c'era anche una necropoli, considerato lo spargimento di frammenti di sarcofagi in terracotta in un'area posta circa duecento metri a sud della pietra miliare (coordinate geografiche: 37°19'53.7"N 14°09'22.5"E).
    Ovviamente risulta difficile affermare con certezza che il lungo basolato ritrovato sia proprio quello relativo all'antico Itinerarium. Occorrono, dunque, nuovi e più qualificati studi in merito. Sappiamo, se  può servire a qualcosa, che nei tempi passati (da almeno due generazioni) il lastricato era più integro ed era percorso dai pastori del luogo per raggiungere Delia e poter commerciare i prodotti dell'attività armentizia, come ci ha testimoniato un pastore ivi residente dalla nascita.

 

  Fig. 2
Traccia di lastricato ricadente nella prima tranche a est della Masseria Arcieri subito sotto la SP 10, a sinistra, in direzione dell'ansa del torrente Braemi


  Fig. 3
Traccia di lastricato ricadente nella prima tranche a est della Masseria Arcieri, in prossimità della SP 10 


Fig. 4
Traccia di lastricato in curva, ricadente nella prima tranche tra la SP 10 e la Masseria Arcieri  



Fig. 5
Traccia di lastricato ricadente nella prima tranche tra la SP 10 e la Masseria Arcieri  


Fig. 6
Traccia di lastricato, ricadente nella seconda tranche e presente accanto a una casa colonica satellitare della Masseria Arcieri  



Fig. 7
Particolare della traccia di lastricato, ricadente nella seconda tranche e presente accanto a una casa colonica satellitare della Masseria Arcieri


Fig. 8
Traccia di lastricato della seconda tranche presente a valle della Masseria Arcieri


Fig. 9
Traccia di lastricato della seconda tranche  presente più a valle della Masseria Arcieri


Fig. 10
Lastricato della seconda tranche, che corre lungo il crinale del cozzo più basso di contrada Arcieri




Fig. 11
Lastricato della seconda tranche, che corre lungo il crinale del cozzo più basso di contrada Arcieri


Fig. 12
Lastricato della seconda tranche, a valle del crinale del cozzo più basso di contrada Arcieri



Fig. 13
Lastricato della seconda tranche, a valle del crinale del cozzo più basso di contrada Arcieri


Fig. 14
Lastricato della seconda tranche, a monte del Vallone della Carusa


Fig. 15
Lastricato della seconda tranche, a monte del Vallone della Carusa (vista dal basso)


Fig. 16
Lastricato della seconda tranche, che scende al Vallone della Carusa



Fig. 17
Traccia in rosso del basolato su base di una carta tecnica storica del 1862-1876. Freccia verde: l'incrocio nel Vallone Carusa; freccia rossa e freccia azzurra: guadi del fiume Salso


      Fig. 18
Traccia in rosso del basolato su base google maps satellitare



Fig. 19
Traccia in rosso del basolato su base google maps satellitare, ricadente sulla linea di ricongiungimento tra Sophiana e Delia-Petiliana


Fig. 20
Probabile presidio romano di contrada Zubia


Fig. 21
Resti di un lastricato probabilmente romano nei pressi della miniera di Galati


Fig. 22
Resti di una pietra miliare o di una merca nei pressi della miniera di Galati


Fig. 23
Probabili resti di un lastricato in contrada Galati




Note

[1] I sopralluoghi sono stati effettuati nelle seguenti date: 28 giugno 2021; 02 luglio 2021; 30-31 dicembre 2021; 2 gennaio 2022; 14 aprile 2022; 23 aprile (contrada Galati).
[2] A. Li Gotti, Identificazione definitiva di Calloniana, in "ArchStorSicOr" passim.
[3] M. Sfacteria, Un approccio integrato al problema della ricostruzione della viabilità romana in Sicilia - La via Catania-Agrigento, Oxford, BAR International Series 2883, 2018 pp. 55 e 57.
[4] L. Paladino, Presenze romane nella valle del Salso: un nuovo sito archeologico attraverso le ricognizioni in superficie, in La Sicilia romana tra Repubblica e Alto Impero, Atti del Convegno di Studi, Caltanissetta 20-21 maggio 2006, Caltanissetta, pp. 42-50.
[5] S. Tusa, R. Nicoletti, Il Territorio di Pietraperzia - Dalle Origini alla Conquista Normanna, Roma, Aracne, 2014 pp. 20-23.
[6] Ivi pp. 169-174.



Autore:
Filippo Salvaggio



Ringraziamenti

Questo studio è stato possibile grazie alla presenza e all'incoraggiamento di mio fratello Paolo Salvaggio e di amici carissimi come il geologo Calogero Costa, il geometra Daniele Cigna ed Anthony Miguel La Pusata e suo figlio Christian: li ringrazio tantissimo. 
Mio figlio Arturo, in ultimo, è stata una presenza fissa con la sua curiosità e con le emozioni provate da chi, come lui, intuisce e prova per la prima volta la vertigine della profondità del tempo.

lunedì 8 febbraio 2021

Alla ricerca della chiesa normanna di San Teodoro in agro pietrino

     Dopo aver scritto sulla chiesa rurale di San Giorgio, padre Dionigi Bongiovanni da Pietraperzia, da buon erudito e storico locale del XVIII secolo, passa in rassegna una seconda chiesa sempre in contrada Rancitito e costruita dai Normanni: la chiesa di San Teodoro. Riportiamo le sue parole: <<qualmente nel divisato luogo d'Arangitito fuvvi la Chiesa, fabbricata da' Normanni a S. Teodoro in contrassegno dei ricevuti benefizi dal Santo (forse quivi) [...] adesso la chiesa è diroccata, e mostra con silenzio loquace la propria antichità, rimanendone al sito (sin oggi) il nome di Santu Tòdaru>> [1].

      Intuiamo, anzitutto, che la contrada Rancitito all'epoca del frate non era ancora frammentata in sottocontrade come risulta oggi e dalle mappe successive; era probabilmente divisa in due da quelle che ancora oggi si chiamano Serre di Mezzo. A nord ovest di esse, campeggia il monte Cane con le sue pendici che si allungano fino all'Himera, nominandosi Crapara, Fastuchera, Tornambè, Coda di Volpe. A sud est, vi è la contrada cosiddetta del Vallone dell'Oro, confinante con il sito archeologico di Pietra dell'Uomo. Dopo aver indiziato la presenza della chiesa di San Giorgio nella zona Crapara-Zotti di Giurgi, attenzioniamo la parte sud est dell'antica contrada di Rancitito divisa, come detto, dalle Serre di Mezzo, che comprende anche quella porzione di terra che tutt'ora si chiama propriamente Rancitito e che corrisponde con le terre a sud del cimitero pietrino oltre la vallata. Qui, alle spalle dell'attuale oleificio Palascino, si trova un antico caseggiato ex proprietà del Barone Ottavio De Lollis (ex marito dell'attrice Sandra Milo) e attuale proprietà Viola che, a quanto pare, ingloba una chiesa rurale (coordinate geografiche: 37.410807, 14.118631). Al momento, non siamo riusciti a fare un sopralluogo per poter appurare quanto indiziato, ma sarebbe auspicabile poter calcare la terra pianeggiante e fertilissima, in cui ricade un antico giardino arabo (vd. fig. 1). Nel complesso del caseggiato non si scorge, per adesso, una costruzione con orientamento est-ovest, ma si può apprezzare all'imbocco della stradina sterrata con la strada statale un altarino, forse settecentesco, che a ragion veduta doveva segnalare la presenza di un luogo di culto, per cui i passanti dovevano mantenere il dovuto contegno rispettoso (vd. fig. 2). Fra Dionigi, ad ogni buon conto, scrive della presenza in agro pietrino di un'altra chiesa non ancora individuata: la chiesa di Sant'Andrea del Pioppo che, ai suoi tempi, apparteneva al Barone Costa, il quale l'aveva da poco restaurata [2]. Nell'altarino sopra citato si può notare la traccia di uno scudo araldico: che sia stato lo scudo del barone Costa?

     Perlustrata questa porzione della contrada Rancitito, ci concentriamo sul territorio ricadente a sud est. Una mappa del XIX secolo segna la dicitura "Vallone d'oro". Ai tempi di padre Dionigi Bongiovanni, come lui testimonia, il sito dove sorgeva la chiesa era chiamato: San Teodoro. Che fine ha fatto il toponimo? Sarà totalmente sparito? Se si pronuncia, però, il nome del vallone in dialetto, si potrebbe ipotizzare di no: il toponimo non è sparito del tutto. "Di l'oru", detto in dialetto potrebbe essere la storpiatura di "Tidòru": la "T", consonante occlusiva dentale sorda si sarebbe sonorizzata in "D" e la "D" in posizione mediana e intervocalica si sarebbe dissimulata in "L" consonante liquida che avrebbe agevolato la pronuncia. Nell'arco di un chilometro a monte del Vallone d'oro, concentriamo dunque le ricerche. Partiamo da dove c'è una forte presenza di acqua: la fonte del piano. Vicino ad essa è segnata in mappa la Casa De Biasi. Il caseggiato non è orientato est-ovest e scartiamo (ovviamente non del tutto) l'ipotesi che la chiesa di San Teodoro sia stata inglobata in esso, anche se ci viene suggerito che vi è la presenza di una chiesetta, forse una cappella privata.

     Allarghiamo le ricerche e attraversiamo il ricchissimo sito di Pietra dell'Uomo, una cittadina un tempo fiorente, specialmente in età romana. Poco al di sotto, a sormontare il Vallone d'oro vi è il Cozzo della fontana del Piano. In esso, campeggia una misteriosa torre esagonale, oggetto di ritrovamento, nel 2018 da parte del sig. Daniele Cigna e del prof. Enrico Tummino (coordinate geografiche: 37.385200, 14.121308) [3]. La figura geometrica dell'esagono ci richiama subito alla mente la forma della fontana di San Giorgio. Dovremmo essere a un passo dalla probabile chiesa di San Teodoro... A circa cento metri più a valle, ci viene detto che vi era una chiesetta, ormai ridotta a poche macerie (coordinate geografiche: 37.383954, 14.119819; vd. fig. 3). Anni fa, vi erano ancora l'altare, degli stucchi e degli affreschi: che sia l'antica chiesa di San Teodoro, santo celerato dalla Chiesa il 7 febbraio? Si può, comunque, notare che nei pressi vi è un antico pozzo a cuba, ancora funzionante e ben conservato. In mappa, ad ogni buon conto, vi è segnato un edificio orientato est-ovest (vd. fig. 4).

    Se era quello il punto in cui i Normanni scelsero di erigere il luogo di culto si può, per di più, evincere che anche in quei luoghi vi fu uno scontro tra gli eserciti arabo e normanno. Quest'ultimo, giungendo dalla valle dell'Himera, per prendere d'assedio Pietraperzia si era probabilmente e strategicamente diviso in due. Due erano, d'altronde, i principali punti di guado del fiume Himera a sud ovest di Pietraperzia: il passaggio della regione Zubia e il passaggio della regione Crapara-Monte Grande. A partire dai due punti di guado, una parte di esercito puntava a giungere al paese scendendo dalla collina del telegrafo, l'altra parte dalla zona del Seggiu o Barbacane.

    Questo breve articolo-saggio non ha la pretesa di aver trovato verità assolute, ma di fungere da punto di partenza per un dibattito culturale, che movimenti una nuova ondata di valorizzazione del territorio, a partire da chi, oggi, si trova ad essere il fortunato possessore di un patrimonio inestimabile. Seguiranno ulteriori sopralluoghi, escursioni e sondaggi, spero non solo da parte dello scrivente.




Fig. 1
Case De Lollis-Viola, stralcio da Google earth



Fig. 2
Edicola votiva con scudo araldico che contrassegnerebbe la presenza, nelle vicinanze, di una chiesa rurale: San Teodoro o Sant'Andrea del pioppo? 



Fig. 3
Stralcio da Google maps. Torre esagonale (freccia azzurra) e cumulo di macerie della probabile chiesa di San Teodoro (freccia rossa). Con la freccia nera è indicato l'antico pozzo a cuba.



Fig. 4
Stralcio di mappa del XIX sec.





NOTE

[1]  P. fra' Dionigi, Relazione critico-storica della prodigiosa invenzione d'una immagine di Maria Santissima chiamata comunemente della cava di Pietrapercia, (Ripr. dell'ed. Palermo nella Stamperia della Divina Provvidenza, 1776. - In testa al front.: Pietraperzia dalle origini al 1776) trascritta da Salvatore di Lavore, presentata da Filippo Marotta, Pietraperzia, Tipolitografia Di Prima, 2004, p. 133.
[2]  Ivi, p. 308.
[3]  Pinnisi R., La torre astronomica e le strutture esagonali, in "La Sicilia" del 17 ottobre 2018, cronaca di Enna. Lo storico Liborio Centonze evidenzia l'antichità e l'allineamento geodetico della struttura esagonale con la torre di Federico II presente a Enna.





Autore: Filippo Salvaggio



Ringraziamenti

Si ringrazia in primis l'amico Daniele Cigna per la sua testimonianza e per l'alacrità con cui mi ha prestato aiuto. Un ricordo speciale va al sig. Rocco Fonti, irrefrenabile esploratore armato di panda, che sembra essere cingolata. Ho trovato un valido supporto anche da parte dell'amico agronomo Agatino Guarneri, che ringrazio. Mi preme anche ricordare l'apporto sempre presente del prof. Enrico Tummino, smisurato difensore del patrimonio della sua amatissima terra. Preziosi sono stati i suggerimenti del sig. Antonio Caffo: la biblioteca comunale difficilmente può avere migliore lavoratore. Un ricordo affettuoso mi lascia l'ospitalità del maestro Enzo Spampinato nel suo podere d'estate, all'imbrunire, a contemplare nelle antiche mappe le vestigia pietrine, che non vogliono cedere nemmeno un milligrammo di gloria: grazie, amico Enzo. Grazie pure al dott. Salvatore Palascino, cultore di storia, difensore del passato, nonché valido aiuto.
Un ringraziamento a parte va a Elvira Mazzola, psicologa dell'Asp di Piazza Armerina-Enna, voce come filo di Arianna in un labirinto tetro.

lunedì 4 novembre 2019

Sulla chiesa rurale della Madonna dell'Olivo o del Lume

      Fra' Dionigi Bongiovanni da Pietraperzia, autore di storia locale vissuto nel XVIII secolo, scrisse sommariamente queste parole su una chiesa, attualmente dimenticata:
<<Finalmente lontana dal Paese poco men, che altrettanti passi (500, n.d.r.) dall'Oriente, abbiamo in un luogo detto dell'Oliva, la Chiesa di Maria SS. il tit. "dello Lume", che siccome anticamente, così oggi la divozione alla Vergine vedesi fervorosa>> [1]Lo storico, dunque, ci offre la testimonianza sulla presenza di una chiesa rurale e sul culto ad essa collegato, addirittura pieno di fervore. Cosa è rimasto oggi della chiesa della Madonna dell'Olivo o del Lume?
   Il culto della Madonna del Lume, presente anche a Barrafranca, in quanto nella chiesa di Maria SS. della Stella è custodita una tela riferita a tale titolo, ebbe origine a Palermo nel 1722 da una visone di una veggente (vd. fig. 0). Il 6 febbraio 1738, papa Clemente XII autorizzò il Culto a Maria SS. del Lume, stabilì la data della festa nella seconda domenica di settembre e concesse l'indulgenza plenaria a chi presenziava la messa in tale occasione. Il 1738, dunque, è considerabile un termine temporale non ante quem, utile alla datazione della chiesa rurale pietrina.
    Gli storici Lino Guarnaccia e Salvatore Viola hanno affermato che la chiesa sorgeva in contrada Luogo e che fu costruita dal barone Carmelo Costa, come testimonia il suo testamento redatto dal notaio D. Angelo Barbo di Pietraperzia in data 6 aprile 1767, ma non viene fatta menzione dell'archivio in cui si trova tale documento. Stessa cosa dicasi per la richiesta del permesso di celebrare una messa redatta il 21 marzo 1804 da Donna Rosaria, discendente del barone, e inviata al vescovo di Caltanissetta, per celebrarne la fondazione. Infine, i due storici hanno ipotizzato che: <<Ciò che rimane di questa chiesa dovrebbe trovarsi sul fondo di un certo Filippo Costa>> [2].   



Fig. 0
Madonna del Lume, tela conservata presso la sagrestia della chiesa Maria SS. della Stella di Barrafranca (EN). 
Iconografia: la madonna con la destra solleva un'anima del purgatorio verso il paradiso, con l'altra regge Gesù Bambino che mette i cuori delle anime salve in una cesta sorretta da un angelo.


     Se si effettua una ricerca toponomastica, ancora oggi è possibile individuare una contrada detta "Oliva", come del resto, ci attesta un cartello stradale posto all'imbocco di una trazzera (vd. fig. 1), che si trova nei pressi dell'attuale stazione di servizio dei fratelli Tummino ex "Oasi di Caulonia", a distanza di circa 50 metri, dirigendosi verso Caltanissetta. A circa 100 metri dall'imbocco di detta trazzera, ci si ritrova in uno slargo in cui campeggia quella che sembra essere un'antica dimora o "roba", ormai abbandonata e in degrado, oltre che circondata da sterpaglie  (vd. fig. 2 freccia azzurra e fig. 2a). Sul retro della roba verso nord-ovest si trovano i ruderi di un'antico fabbricato rettangolare più modesto rispetto al primo (coordinate 37.426416, 14.170872  vd. fig. 2 freccia rossa): si tratta proprio della chiesetta rurale della Madonna del Lume o dell'Olivo. 


Fig. 1
Cartello stradale all'imbocco della strada vicinale Oliva



Fig. 2
Stralcio da google maps




Fig. 2a
Facciata dell'edificio più grande in contrada Oliva


    In seguito a una ricerca cartografica, consultando la "Mappa topografica degli Stati in Terraferma di S.M. il Re di Sardegna (1852-1867)", è possibile osservare la posizione della chiesa della Madonna dell'Olivo (vd. figg. 3 e 4). Si può anche considerare che la chiesetta rurale contrassegnata in fig. 2 con la freccia rossa è orientata nord-sud con facciata verso mezzogiorno e misura circa 7 metri per 5 di larghezza (coordinate geografiche 37.426420, 14.170884). Dei quattro muri perimetrali se ne sono conservati solo tre: la facciata è crollata, così come il tetto (vd. figg. da 5a  fino a 5l). Le mura hanno lo spessore di 50 centimetri e sono state costruite con pietre e gesso (vd. figg. 6 a, b, c); tutta la chiesetta è rivestita in gesso. All'interno, si può ancora notare la cornice in gesso che circondava la pala d'altare dedicata alla Madonna del Lume, di cui non si ha traccia; probabilmente è stata trasferita in una delle chiese pietrine. La tela misurava, all'incirca, 1,5 metri per 2. La cornice è stata scalfita in alto per inserire il tirante in ferro che, attualmente, è sganciato e pericolante (vd. figg. 7 a, b, c, d, e). Al centro della chiesetta si nota uno sprofondamento della terra che copre tutto il pavimento originario, da indagare: forse vi era una cripta o un'ossario. Tra i detriti all'interno della chiesetta, si trovano i frammenti delle maioliche appartenenti al pavimento originario (vd. fig. 7 f).  Non vi sono evidenti tracce di affreschi, ma solamente tre saggi effettuati in ognuna delle tra pareti rimanenti da qualche predone (vd. figg. 8 a, b). L'altare è stato distrutto e si nota proprio alla base della cornice in gesso la traccia dell'incasso del marmo, ormai divelto (vd. fig. 9).



Fig. 3

Stralcio da carta tecnica storica 1862-1876

Cerchio rosso chiesa Madonna dell'Olivo






Fig. 4
Stralcio da carta tecnica storica 1862-1876, zoom sulla Madonna dell'Olivo






Fig. 5 a

Chiesetta rurale della Madonna del Lume, vista esterna; sullo sfondo la cittadina di Pietraperzia




Fig. 5 b
Chiesetta rurale della Madonna del Lume, vista esterna





Fig. 5 c

Chiesetta rurale della Madonna del Lume, vista esterna






Fig. 5 d
Chiesetta rurale della Madonna del Lume, vista esterna



Fig. 5 e
Chiesetta rurale della Madonna del Lume, vista esterna



Fig. 5 f
Chiesetta rurale della Madonna del Lume, vista esterna




Fig. 5 g
Chiesetta rurale della Madonna del Lume, vista esterna



Fig. 5 h
Chiesetta rurale della Madonna del Lume, vista esterna



Fig. 5 i
Chiesetta rurale della Madonna del Lume, vista esterna



Fig. 5 l
Chiesetta rurale della Madonna del Lume, vista esterna



Fig. 6 a
Chiesetta rurale della Madonna del Lume, particolare del muro perimetrale

 

Fig. 6 b
Chiesetta rurale della Madonna del Lume, particolare del muro perimetrale

Fig. 6 c

Chiesetta rurale della Madonna del Lume, particolare del muro perimetrale


Fig. 7 a

Chiesetta rurale della Madonna del Lume, interno


Fig. 7 b
Chiesetta rurale della Madonna del Lume, interno



Fig. 7 c
Chiesetta rurale della Madonna del Lume, interno


Fig. 7 d

Chiesetta rurale della Madonna del Lume, cornice in gesso dell'altare maggiore lato sx



Fig. 7 e
Chiesetta rurale della Madonna del Lume, cornice in gesso dell'altare maggiore lato dx


Fig. 7 f

Chiesetta rurale della Madonna del Lume, frammenti dell'originario pavimento in maiolica




 Fig. 8 a
Chiesetta rurale della Madonna del Lume, saggio nella parete frontale



 Fig. 8 b
Chiesetta rurale della Madonna del Lume, saggio nella parete del alto destro

  

Fig. 9
Chiesetta rurale della Madonna del Lume, traccia d'incasso del marmo dell'altare maggiore


   Non sarà, comunque, stato un caso la fondazione di una chiesa dedicata proprio a questo titolo mariano e in contrada Oliva: ancora oggi quel territorio è pieno di uliveti di gran pregio e secolari. La contrada, per di più, è adiacente a quella denominata "Lucu", dove vi sono state delle ricognizioni per catalogarne la necropoli appartenente alla cultura micenea con tombe circolari [3]. Un luogo che doveva essere, quindi, sede del "lucus", bosco sacro. Interessante è anche il legame semantico Lume-Olivo: l'olio era usato per le lanterne e simboleggiava la veggenza e la saggezza. Potrebbe, comunque, essere probabile che la chiesetta fu edificata dai signori che possedevano il sottostante casale. 
  Ad ogni buon conto, si auspica la dovuta messa in sicurezza contro futuri crolli e la valorizzazione di questo gioiello che si aggiunge nuovamente al già notevole patrimonio artistico, storico, religioso e monumentale pietrino.
   Il culto della Madonna del Lume in Sicilia è molto diffuso grazie ai Gesuiti [4], anche nell'entroterra come testimonia la presenza di due tele a Mazzarino (vd. figg. 10 e 11), attualmente conservate presso il museo di arte del sacra del Centro culturale “Carlo Maria Carafa” all'interno dell'ex Collegio dei Gesuiti e nella chiesa di Santa Lucia. Il culto ha avuto diffusione mondiale in Spagna, in Messico, in California ecc... [5] A Palermo, centro diffusore, si ha una confraternita e si festeggia, anche con processioni, l'ultima domenica di luglio.


    Fig. 10

Tela della Madonna del Lume, Mazzarino, ex Collegio dei Gesuiti




Fig. 11
Tela della Madonna del Lume, Mazzarino, chiesa di Santa Lucia










NOTE

[1]  P. fra' Dionigi, Relazione critico-storica della prodigiosa invenzione d'una immagine di Maria Santissima chiamata comunemente della cava di Pietrapercia, (Ripr. dell'ed. Palermo nella Stamperia della Divina Provvidenza, 1776. - In testa al front.: Pietraperzia dalle origini al 1776) trascritta da Salvatore di Lavore, presentata da Filippo Marotta, Pietraperzia, Tipolitografia Di Prima, 2004, p. 275.
[2]  Guarnaccia L., Viola S., Guida ai monumenti ed ai luoghi storici di Pietraperzia, Pietraperzia, Tipolitografia Di Prima, 1993, pp. 154-155.
[3]  Tusa S., Nicoletti R., Il territorio di Pietraperzia dalle origini alla conquista normanna, Roma, Aracne editrice, 2014, pp. 339-341.
[4] Si veda il seguente sito per approfondimenti teologici e per consultare delle preghiere rivolte alla Madonna del Lume: https://stellaitblog.blogspot.com/2014/09/maria-ss-del-lume.html 






Autore: Filippo Salvaggio



Ringraziamenti

Si ringrazia il signor Antonio Caffo e il dott. Salvatore Palascino per i preziosi suggerimenti oltre che il sig. Rodolfo Amico, il prof. Michele Buccheri e il dott. Angelo Antonio Faraci.